L’Italia è stata unita solo sotto il periodo fascista.
Prima e dopo è stata una nazione con mille differenze e con un campanilismo esacerbante che ha tenuto ben distante ogni tentativo di unificazione nazionale.
Alcune delle suddivisioni di cui siamo ancora malati, derivano dal nostro retaggio storico, dove una Chiesa, despota e invadente, ha suddiviso in frazioni ogni luogo, creando diatribe e odi razziali fino a mettere uno contro l’altro paesi, borgate e famiglie.
La maggior parte della popolazione è stata volutamente lasciata nell’ignoranza più profonda affinchè nessuno capisse che quel modo di fare serviva allo Stato Pontificio per meglio governare, seguendo le direttive dei latini “Dividi et impera!”
E così è stato, e quando qualcuno emergeva dall’ignoranza popolare e cercava di svegliare le coscienze di coloro che si erano assuefatti alle loro stesse carenze, la Chiesa li eliminava uccidendoli sui patiboli che ereggeva in Piazza del Popolo a Roma. Caduto lo Stato Pontificio, a livello di conoscenza, nulla è cambiato.
Gli italiani continuavano a rimanere ignoranti, ad odiarsi l’uno l’altro e ad appecoronoarsi ai nuovi padroni delle loro terre. Con la prima guerra mondiale la popolazione italiana si ritrovò tutta nelle stesse trincee, a morire di fame, di freddo e di proiettili nemici.
Ma iniziarono a conoscersi, a scoprire nuovi dialetti, nuove usanze, nuovi modi di vivere. Sembrava quasi come se stessero conoscendo una popolazione straniera pur essendo tutti italiani. Finita la guerra, e con l’avvento del fascismo, l’Italia non rimase più chiusa in divisioni territoriali.
Il regime creò diverse possibilità affinchè coloro che avevano visto e vissuto solo nel proprio paese, conoscessero altri luoghi diversi dal proprio. Fu cosi che molti italiani, che abitavano nell’entro terra, scoprirono per la prima volta le zone di mare e viceversa.
E fu a tal fine che il fascismo produsse le “littorine,” vagoni scomodisismi, con sedili in legno, dove il fine settimana si accalcavano migliaia di italiani per spostarsi in luoghi diversi dal loro.
Era un’Italia che usciva da una guerra che aveva decimato famiglie, che aveva voluto un contributo di sangue italiano impressionante, che non era in grado di capire se quella guerra l’aveva vinta o persa dopo che, con i trattati di Versailles, le potenze vincitrici non rispettarono le promesse che fecero durante il periodo dello scontro bellico per portare dalla loro parte la nostra nazione.
Ma, ad ogni modo, l’Italia comunque si riprese negli anni successivi e pur rimanendo le differenze esistenti tra province e paesi, molti cittadini ebbero modo di illuminare, almeno in parte, il buio della loro ignoranza e della loro diffidenza verso “l’altro”. Le bonifiche portarono, sotto questo punto di vista, un’ulteriore conoscenza tra persone, perchè la manodopera richiesta arrivava dai diversi posti dell’Italia.
Si bonificarono cosi l’Agro Pontino, e le terre di Campania, Puglia e Sicilia. Gli italiani, insieme, bonificarono oltre 6 milioni di ettari di terreno Dopo le bonifiche avvennero le colonizzazioni dei terreni resi liberi dalle paludi e dalla malaria e questo fu un altro incentivo perchè gli italiani conoscessero e frequentassero altri italiani.
L’Opera Nazionale Combattenti costruì un numero enorme di piccole fattorie che disseminò nelle aree bonificate, acclundendo 5 ettari di terreno per ognuna di esse.
Nell’Italia del Sud sono ancora visibili molte di quelle costruzioni contadine, alcune delle quali sono state ristrutturate, altre invece si trovano in uno stato di abbandono totale.
All’epoca, il fascismo, diede a tutti coloro che lo avessero voluto la possibilità di prendere possesso di una di queste fattorie e molte persone, senza lavoro, in stato di povertà, ma col il desiderio di riscattarsi da quelle precarie condizione di vita, accettarono di acquisire le piccole aziende contadine.
Arrivarono, soprattutto nell’Agro Pontino, famiglie venete e friulane, che presero possesso delle terre e dei caseggiati arredati e con le attrezzature adatte per lavorare i campi.
Il governo fascista, in cambio, prelevava una percentuale del raccolto e, dopo 5 anni di lavori, passava la proprietà dell’intera struttura alle famiglie che avevano dimostrato la capacità di produrre e di accudire i terreni che, fino a quel momento, erano rimasti di proprietà dello Stato.
Per molti, bisogna dirlo, il cambio ambientale fu traumatizzante. I veneti che erano scesi nelle valli, tra il Lazio e la Toscana, si trovarono davanti un paesaggio completamente diverso.
Abituati ai boschi, alle montagne, all’aria molto più frizzante e fredda, vennero immersi in una pianura dove i boschi erano praticamente assenti e dove il clima era decisamente diverso, piu caldo, umido, fastidioso per chi non vi era abituato.
Ma anche questo rientrò nell’evoluzione degli italiani, che fino a qualche decennio prima credevano che l’Italia iniziasse e finisse nei confini del loro paese.
Tornammo ad odiarci successivamete, quando iniziarono con le scorribande partigiane comuniste. Gente senza scrupoli, rimasta ignorante nei modi, nel pensiero, nella ragione, non guardarono in faccia nessuno, distrussero campi, case, attrezzature, si impossessarono dei prodotti coltivati e del bestiame che i contadini e gli allevatori avevano curato fino a quel momento.
La guerra fece il resto, con gli alleati che si divertivano a mitragliare a bassa quota le persone che cercavano riparo in un canalone o dietro le mura della propria casa. In pochi anni si distrusse tutto quello che il fascismo era riuscito a creare.
Si annientò anche quella conoscenza che vi era stata tra uomini di zone diverse, con usi e costumi sconosciuti, dialetti incomprensibili e modi di fare spesso buffi.
Quel vuoto venne presto riempito dalla diffidenza, dalla paura, dalla cattiveria, la delazione, la menzogna, il furto, l’assassinio.
Caddero tutti i sani principi morali e civili che quella società aveva creato, qualcosa che nessun altro governo prima del fascismo era riuscito a compiere e che dopo il regime sarebbe riuscito a replicare. La guerra del sangue contro l’oro era iniziata e si volgeva al peggio.
E che fosse una guerra contro gli usurai del mondo è cosa che trova prove pure nelle piccole fattorie ONC create dal fascismo.
Già nel 1926 le banche dovettero togliere i loro artigli dalle carni dei contadini grazie alla creazione dei Consorzi agrari e della Federconsorzi. Essi divennero un importante strumento del fascismo per abbattere l’usura bancaria e la speculazione realizzata dai grandi distributori privati.
A differenza delle banche infatti, i Consorzi agrari offrivano un credito agrario senza interessi per gli acquisti di sementi, concimi, macchine agricole, antiparassitari, bestiame e tutto ciò che era necessario all’attività produttiva agricola, inoltre garantivano agli agricoltori, in specie ai piccoli proprietari, una maggiore forza contrattuale nei rapporti con i trasformatori e i distributori.
Insomma l’esatto contrario di quanto succederà in seguito, fino ai giorni nostri, in cui sono i compratori a decidere il prezzo imposto e non il venditore che deve sottostare ai loro cartelli, pena la distruzione del proprio raccolto e l’abbattimento del bestiame. In questi ultimi anni si è andati anche oltre i cartelli imposti dalle multinazionali dell’agricoltura e dell’allevamento.
Oggi l’Unione Europea paga gli agricoltori ed i fattori se non producono, se lasciano incolte le terre, se non vendono i prodotti del loro bestiame.
Quando si parla di antifascismo si intende anche questo, ovvero accondiscendere, accettare, sottomettersi alle politiche opposte a quelle create dal fascismo, politiche, queste ultime, che spingevano alla produzione e al benessere di coloro che ne erano gli artefici.
conti fatti, quel vecchio detto, pare essere sempre più reale e veritiero, ci fa guardare al passato pensando che: “si stava meglio quando si stava peggio”.